Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXII – 31 maggio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Disturbi dello spettro dell’autismo
(ASD): nessuna differenza precoce tra maschi e femmine. Uno
studio di vasta scala, condotto per circa vent’anni su 2.500 bambini maschi e
femmine dall’età di 12 mesi all’età di 48 mesi da Sanaz
Nazari e colleghi di un team della Facoltà di Medicina dell’Università
della California a San Diego (UCSD) guidato da Karen Pierce, ha identificato
1.500 bambini affetti da ASD, 600 bambini in perfetto sviluppo fisiologico e
475 con ritardo neuroevolutivo. La valutazione ha incluso lo studio di 19
parametri neuroevolutivi e uno screening specifico per gli ASD. Ecco i
tre risultati principali: 1) nessuna differenza tra i sessi in età precoce,
smentendo quanto rilevato finora da studi su campioni poco numerosi (n <
100); 2) l’unica eccezione è rappresentata da punteggi delle bambine lievemente
più alti nelle abilità della vita quotidiana, ma secondo quanto riportato dai
genitori; 3) le bambine normodotate in evoluzione fisiologica superavano i
maschi nei punteggi delle abilità sociali e del linguaggio[1].
Da questo studio si evincono due
considerazioni principali: 1) visto che la probabilità di diagnosi di ASD nei
maschi è almeno 4 volte superiore probabilità di diagnosi nelle femmine, è
possibile che nelle età più precoci molte bambine affette non siano
diagnosticate; 2) i fattori che determinano l’espressione di ASD nei maschi
agiscono maggiormente dopo i primissimi anni di vita. [Cfr. Nature Human Behavior – AOP doi: 10.1038/s41562-025-02132-6, May 26, 2025].
Terapia Genica: si è scoperto che può
essere migliorata da NO che facilita il passaggio attraverso la BEE. Bhavya
R. Shah e colleghi hanno scoperto che l’NO può migliorare la terapia genica
rendendo la barriera emato-encefalica (BEE) più permeabile, quando accoppiata
con ultrasuoni focalizzati (FUS), guidati da MR. La captazione della terapia
genica sperimentale da parte delle regioni cerebrali dei topi era sensibilmente
migliorata. Rispetto alle tecniche convenzionali, questo metodo richiede
concentrazioni significativamente più basse di microbolle e minore pressione
ultrasonora, in tal modo assicurando la riduzione del rischio di danno del tessuto.
[Cfr. Shah B. R. et al. Gene Therapy – AOP doi: 10.1038/s41434-025-00530-z,
2025].
Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA): una
terapia sperimentale ha ottenuto grandi risultati. Una
rara e aggressiva forma di malattia del motoneurone (SLA) causata da mutazioni
del gene FUS è stata sorprendentemente trattata con un’efficacia mai registrata
prima: una nuova terapia sperimentale che impiega la tecnologia anti-senso per
silenziare il gene FUS mutato, riducendo in modo drammatico l’accumulo di
proteine tossiche nei motoneuroni. I pazienti trattati presentavano una
riduzione dei neurofilamenti leggeri fino all’83%, con una proporzionale
riduzione del danno. [Cfr.
Helen Garey, Columbia University – Neil Shneider et al., Lancet – AOP doi:
10.1016/S0140-6736(25)00513-6, 2025].
Amigdala: un ruolo nell’apprendimento
selettivo del canto degli uccelli. I giovani fringuelli (zebra
finch) apprendono il canto da adulti che fungono
da tutor, o meglio, da modello. Tomoko Fujii e
colleghi hanno rilevato una specifica preferenza: i giovani scelgono come
modelli da imitare i cantori che fanno esibizioni canore di maggiore durata, ma
cantano meno spesso. Il focus dello studio è stato rivolto alla definizione del
ruolo dell’amigdala.
In assenza della funzione dell’amigdala la
capacità di imitazione dei fringuellini non è
intaccata, ma i giovani uccelli perdono la selettività sociale. L’amigdala,
infatti, sembra influenzare il canto imitativo guidando l’attenzione sociale. [Cfr.
Fujii T. et al. J. of Neuroscience, 2025].
Come fanno gli animali a scegliere e
alternare le azioni quotidiane non necessitate? Esiste
un’architettura comportamentale costituita da blocchi discreti di movimenti,
condivisa da un enorme spettro di specie animali, dai suricati sudafricani,
detti “manguste delle termiti”, alle iene e ad altri grandi mammiferi; tale
architettura è stata indagata da Pranav Minasandra e colleghi per ricavarne principi generali di
governo del comportamento dei mammiferi in ambienti naturali. I ricercatori
hanno cercato innanzitutto di capire in che modo gli animali cambiano lo stato
comportamentale, ad esempio passando dal passo alla corsa, o alla stazione
eretta, come fanno i suricati. Studiando comportamenti dedotti
dall’accelerometro di tre mammiferi sociali, gli autori dello studio hanno
scoperto pattern strutturali comuni in scala temporale lunga per
le loro sequenze comportamentali. Per spiegare l’origine di questi schemi
comuni, Minasandra e colleghi hanno proposto due
possibilità: 1) feedback positivi; 2) interazione di scale temporali
diverse. [Cfr. PNAS
USA 122 (20): e2503962122, 2025].
Scoperto un polpo a dieci tentacoli
uniti da una membrana che lo rende come un disco a stella. Avvistato
per la prima volta nel 2022 in Australia, ha oggi ottenuto il riconoscimento
scientifico come specie denominata Opisthoteuthis
carnarvonensis, dalla zona di costa del suo
rinvenimento: il Carnarvon Canyon Marine Park. Anche se ha un diametro di poco
più di 4 cm, per la membrana che unisce i tentacoli e sembra formare due
orecchie di elefante ai lati del capo, è stato soprannominato “Dumbo octopus”,
da “Dumbo”, l’elefante della Disney. Vive nelle profondità dell’oceano – motivo
per cui era rimasto sconosciuto – agisce e cresce lentamente. [Fonte: Sara
Hashemi, Smithsonian magazine, May
22, 2025].
Scoperti i più antichi strumenti fatti
dall’uomo con ossa di balene 20.000 anni fa. Ricercatori del
ICTA-UAB, del CNRS e della University of British Columbia hanno analizzato 83
strumenti d’osso di balena provenienti da siti archeologici presso il Golfo di
Biscaglia, e altre 90 ossa provenienti dalla Grotta di Santa Catalina. Gli
utensili studiati provenivano da 5 diverse specie di balene e sono stati datati
19.000-20.000 anni fa. Si tratta della più antica testimonianza della
lavorazione di ossa di balena da parte dell’uomo, come ha precisato Jean-Marc Petillon, coordinatore dello studio. [Cfr. Nature Communications – AOP doi:
10.1038/s41467-025-59486-8, May 27, 2025].
Evoluzione umana rivisitata: volume del
cervello e quoziente di encefalizzazione. In un incontro
del gruppo strutturale sull’evoluzione del cervello della Società Nazionale di
Neuroscienze BM&L-Italia, questa settimana si è fatto il punto su alcune
nozioni di comparazione paleoantropologica. Fino a non molto tempo fa
l’evoluzione dell’uomo era concepita come un processo lineare, descritto come
una linea diacronica lungo la quale si sono succedute le specie di ominidi, dai
primi reperiti nella piana di Hadar in Etiopia alle varie australopitecine fino
a Homo sapiens sapiens. Pian piano, nel tempo,
è maturata una diversa convinzione: specie protoumane e preumane diverse hanno
avuto territori e periodi di coesistenza, e dal loro incrocio hanno avuto
origine le specie da cui direttamente discendiamo. Questa nozione ha conferito
un nuovo stimolante elemento alla comparazione volumetrica della capacità del
neurocranio, ossia al confronto fra le dimensioni dell’encefalo di queste
specie.
Il volume di Australopithecus
africanus era di 470 cm3, quello di Homo
naledi era 510 cm3, di Homo habilis era 646 cm3, di Homo erectus era 952 cm3, dell’uomo di Neandertal
era 1.404 cm3 e, infine, dell’Homo sapiens era 1.500 cm3.
La comparazione del quoziente di
encefalizzazione, ossia del rapporto cervello/massa corporea, con alcune specie
animali è molto eloquente: nei felini è 1, negli elefanti 1-2, nei macachi 2,
nelle balene 2-3, nella nostra specie 7-8. [BM&L-Italia, maggio 2025].
Cosa rende unica la nostra specie: le
neuroscienze hanno la risposta ma molti ancora la ignorano. Chi
ha familiarità con saggi di paleoantropologia e con le tesi sull’origine delle
facoltà psichiche umane, sa che per più di un secolo si sono contese il campo
delle congetture che indicavano all’origine un singolo fattore, quale il
bipedismo, l’opposizione del pollice, l’impiego di utensili, lo sviluppo delle
lingue, e così via. Ma accadeva sistematicamente che la ricerca smentisse con
prove di evidenza il ruolo di ogni singolo fattore di volta in volta eletto a
probabile origine della unicità umana. In epoca più recente si è smesso di
focalizzare l’attenzione su aspetti della morfo-fisiologia del corpo,
comprendendo che tutti gli elementi isolati dagli antropologi possono aver
contribuito, ma che ciascuno di essi è presente in altre specie in una foma
meno evoluta, che non mostra la tendenza ad evolvere nella direzione umana.
Un esempio relativamente recente è
quello della tesi sviluppata dallo studio di ossa fossili di ominidi protoumani:
una catena di deduzioni basata su rapporti fissi in anatomia comparata tra
morfologia e fisiologia consentiva di argomentare che un cambiamento osseo
fosse alla base dello sviluppo di una maggiore colonna d’aria nella laringe,
che sarebbe stata all’origine della voce umana, da cui sarebbero derivate come
conseguenza le lingue, il pensiero verbale e la scrittura, quale forma di
memoria permanente.
Oggi si tende a partire dalla mente. Uno
dei massimi studiosi dell’unicità umana, Kevin Laland,
già nel 2017 non aveva dubbi nel riconoscere alla cultura il ruolo di origine
della nostra unicità psichica: Darwin’s Unfinished Symphony: How Culture Made the Human Mind
(Princeton University Press, 2017). Vediamo in breve come argomentava e tuttora
argomenta Laland.
Le abilità acquisite umane derivano
dalla nostra capacità di condividere le conoscenze degli altri e usare questa
banca comune di nozioni ed esperienze per concepire nuove soluzioni a problemi
e sfide della vita quotidiana; anche altre specie mostrano capacità innovative,
ma la nostra unicità consiste nell’abilità che abbiamo di insegnare le nostre
conoscenze in un modo così accurato da consentire ai discendenti di costruire
come noi grattacieli e vettori in grado di andare sulla luna. Fin qui, il
pensiero di Kevin Laland.
La verità è che in ogni processo
cognitivo, prima ancora che nelle applicazioni conseguenti, la nostra specie è
superiore e, se è vero che, a un confronto superficiale, è la trasmissione
culturale[2]
che distingue un uomo da un primate non-umano, è pur vera l’evidenza che
la cultura è più un effetto che una causa dell’unicità umana.
Le neuroscienze hanno da tempo risolto
il problema: l’origine dell’unicità della nostra specie è nella nostra corteccia
cerebrale, il cui sviluppo fu definito da Haldane “il più grande salto
nella storia dell’evoluzione animale”. La complessa fisiologia della nostra
corteccia cerebrale, che elabora percezione, comunicazione e strumentalità
cognitivo-motorie, ha consentito quello sviluppo per cicli a spirale verso
l’alto (bootstrapping di Edelman), ossia
per circoli virtuosi di auto-elevazione con potenziamento delle abilità
acquisite spesso fungenti da paradigma alla base di uno sviluppo esponenziale,
che non ha paragoni in altre specie. Nell’evoluzione, questo sviluppo – che
nella sua crescita numerica di neuroni e astrociti ha avuto probabilmente
origine da quelle spinte selettive riconosciute da studiosi come Dean Falk,
Peter Wheeler e Konrad Fialkowski – ha assunto un complesso ruolo di controllo
di funzioni ad architettura sottocorticale e sostiene il livello psichico
attraverso la partecipazione delle sue regioni a reti, che si compongono a
mosaico fluido convergente su un obiettivo.
Bastano due esempi per rendersi conto di
questa peculiarità: 1) il controllo encefalico della vocalizzazione nelle
scimmie si ferma al mesencefalo, mentre nella nostra specie il controllo
corticale della parola consente l’integrazione del pensiero astratto nei
processi di comunicazione; 2) la corteccia realizza “mappe di mappe cognitive”
estraendo concetti da concetti, e questo processo di elaborazione richiama la
nostra attenzione sul fatto che la nostra specie non è semplicemente dotata di
parola, ma della capacità di creare le lingue. E ancora di più: di creare una
scienza astratta come la matematica, che consente di individuare strutture
razionali in tutta realtà conosciuta e rappresenta lo strumento di conoscenza
simbolica più potente che si conosca, oltre che la base esplicita o implicita
delle scienze sperimentali. [BM&L-Italia, maggio 2025].
La riapertura del caso di Garlasco
riporta di attualità le conseguenze della mediatizzazione del crimine. Quando
esisteva ancora il valore etico di una responsabilità morale del programmatore
televisivo verso il telespettatore, una commissione televisiva discusse della
liceità ed opportunità di trasmettere delle serie a quel tempo definite
“poliziesche”, e si giunse all’approvazione sulla base di due motivazioni: 1) i
protagonisti, quali il tenente Sheridan e il commissario Maigret, trasmettevano
il messaggio positivo della giustizia che trionfa, la verità che emerge e la
punizione col carcere dei delinquenti; 2) i ragionamenti investigativi
suggeriti allo spettatore ne avrebbero stimolato i processi logici,
particolarmente quelli deduttivi, rappresentando un utile esercizio cognitivo a
tutte le età.
È passato così tanto tempo ed è così
cambiata la morale sociale – tutta focalizzata sul rispetto più che sacrale
degli interessi economici e sul formalismo della correttezza politica – che è
necessario spiegare, soprattutto ai giovanissimi, il perché di quelle
preoccupazioni. Da tempo ormai assistere a crimini televisivi e cinematografici
attraverso apparecchi e dispositivi elettronici è diventato un fatto quotidiano
che, insieme con tante altre “esperienze virtuali” non edificanti, ha
contribuito a erodere e progressivamente distruggere quella profonda sensibilità
umana, che si sviluppa e si coltiva nei popoli civili in seno a una maggioranza
nutrita di valori etici familiari, su cui si regge tutto l’edificio della
società.
Un aspetto poco considerato, se non
marginalmente dai sociologi della comunicazione, riguarda qualche decennio di
spettacolarizzazione e mercificazione a fini di audience che aumenta gli
introiti pubblicitari, dei fatti criminosi veri. I professionisti che
intervengono nella realtà, come i medici legali, i magistrati e le altre figure
professionali, devono approcciare persone e fatti mediante lo strumento
tecnico del proprio sapere per compiere il dovere cui sono chiamati: la
freddezza e il distacco affettivo-emozionale nel parlare di oggetti e argomenti
della propria competenza costituiscono, sin dai tempi più remoti delle antiche
civiltà, l’eccezione consentita ai professionisti, in quanto necessaria al fine
condiviso della giustizia.
La moltiplicazione mediatica del
malvezzo, per ore e ore di programmazione, di intessere discussioni in cui si
parla di pezzi di cadavere di una persona ipoteticamente trasportati da un
assassino, di lacerazioni e contusioni perimortuali,
ferite da coltellate, coltelli lordi di sangue, tracce di liquidi biologici, proiettili,
crani sfracellati, comportamenti bestiali e orrori di ogni genere, cianciando
ciascuno a suo modo come se si stesse discutendo di sport o spettacoli, ha reso
normale la violazione del rispetto per la persona umana.
Si tratta di un sentimento, non di una
forma comportamentale quale l’adesione a un’etichetta di decoro; un sentimento
consolidato nelle migliori tradizioni culturali, ma originato da un naturale
processo mentale inconscio di identificazione; lo stesso che è
all’origine dell’empatia e dei sentimenti di pietà e solidarietà.
In questo modo, e con l’aiuto dei serial televisivi centrati sulle immagini di
veri cadaveri e reperti autoptici, si è insegnato un atteggiamento di indifferenza
nella reificazione del corpo dell’altro, che prelude a quel disprezzo per la
vita altrui, a quella banalizzazione e irrisione per la sofferenza e la morte,
che i popoli barbari pretendevano dai loro soldati. [BM&L-Italia, maggio
2025].
Notule
BM&L-31 maggio 2025
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La Società
Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society
of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] È la conferma di una nozione
nota, come la prevalenza dei maschi in alcune abilità neuromotorie.
[2] E non necessariamente quella di
ambito tecnologico scelta da Laland per i suoi esempi;
basti pensare a quella di tutte le forme di arte o nel campo delle scienze
umane o delle religioni, senza contare la trasmissione delle norme igieniche e
del vivere civile.